Chi mi conosce lo sa bene. Se c’è una cosa che non sopporto quando si Parla di Videogiochi, oltre al calcio, ai titoli che ricorrono ogni anno, ai DLC e al digital delivery, è proprio la prima persona. Parlo della visuale, letteralmente, tipica di sparatutto e avventure di stampo horror come se ne sono viste tante negli ultimi anni.

RESIDENT EVIL 7: biohazard - Recensione

Non sono particolarmente coinvolto nel susseguirsi di tutti quei titoli dell’orrore di stampo giapponese e occidentale che tanto spopolano fra gli youtuber, ma posso dire di essere sempre particolarmente interessato quando si tratta di RESIDENT EVIL. Non mi considero di certo un fan sfegatato della serie, non ricordo a menadito l’ordine cronologico di tutti gli avvenimenti che coinvolgono Umbrella, S.T.A.R.S. e compagnia bella, ma è una serie che mi ha sempre attirato, volente o nolente, sin dagli esordi. Ricordo con nostalgia quei momenti in cui si discuteva con amici e cuginetti del tanto temuto “gioco con gli zombie” sulla prima PlayStation, delle partite affrontate assieme a loro, in una primitiva modalità co-op che consisteva in: “Te tieni in mano il pad, corri e spari, che c’hai i riflessi buoni; io ti dico dove andare e come risolvere gli enigmi”. Il secondo episodio, quello che vedeva protagonisti i giovani Leon e Claire, è stato il primo che riuscimmo a portare, senza non poche difficoltà, a termine. I non-morti, la colonna sonora da incubo, le inquadrature strategiche, i vetri rotti, i corvi, i cani ma soprattutto i salvataggi limitati e le poche munizioni erano in grado di assorbire completamente la mia attenzione e di far passare ore e ore senza che me ne rendessi conto. Non sono tanti i giochi, al giorno d’oggi, capaci di tanto: sempre più raramente riesco a chiudermi per un’intera giornata, controller alla mano, senza annoiarmi o desiderare di alzarmi e fare qualcos’altro per spezzare la partita. Beh, dopo tutti questi anni posso dire con piacere che RESIDENT EVIL resta ancora uno di quelli.

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Dopo esponenti semideludenti rilasciati negli ultimi anni, CAPCOM ha deciso di rilanciare una delle proprie punte di diamante reiventandola e ispirandosi all’horror videoludico di ultima generazione e in particolar modo a P.T., demo del mai partorito Silent Hills di KONAMI e Hideo Kojima. Tuttavia, se inizialmente pensassi che l’ultima fatica di CAPCOM ricalcasse in maniera spudorata la breve e segnante esperienza che vide protagonista Norman Reedus, proseguendo ho ritrovato molti degli elementi che hanno reso celebre la saga partorita da Shinji Mikami, seppur rivisitati sotto una chiave più moderna e al passo coi tempi dettati dalle mode internettiane.

RESIDENT EVIL 7: biohazard, che per la prima volta utilizza il nome giapponese all’interno del titolo (e viceversa, i giapponesi usano il nostro) funziona quasi alla perfezione. Dalle inquadrature fisse dei primi tre capitoli e dalla visuale quasi alle spalle dei successivi, guarderemo il mondo direttamente dagli occhi di Ethan Winters, l’improbabile protagonista che si ritroverà a dover lottare per sopravvivere in una situazione alquanto atipica per i veterani della saga. Di Ethan non sapremo assolutamente nulla, se non che verrà contattato da quella che era sua moglie, scomparsa tre anni prima senza lasciare alcuna traccia. Il criptico messaggio lo spingerà a recarsi in Louisiana, in una villa abbandonata e avvolta da un’aura malefica, oggetto di molteplici e controverse sparizioni negli ultimi anni. Saranno proprio i primi istanti passati subito fuori dalla nostra autovettura a gettarci nell’ansia più totale: dal momento in cui varcheremo la soglia di Villa Baker verremo pervasi da un senso di inquietudine che crescerà minuto dopo minuto, fino a che non faremo la conoscenza dei suoi abitanti, esseri umani dall’aspetto grottesco e dal carattere non proprio amichevole. Da qui le cose non potranno che peggiorare: dopo essere stati letteralmente rapiti dal folle Jack, l’intero nucleo familiare ci offrirà il suo caldo abbraccio di benvenuto, per poi tentare in tutti i modi di ucciderci. Lo scopo di Ethan sarà quello di trovare Mia e scappare da quel posto orribile ma, chiaramente, le cose non saranno così facili.

Parlando in termini di gameplay, partiremo praticamente nudi, raccogliendo armi e oggetti utili nel corso della nostra avventura, assieme agli immancabili documenti che ci faranno scoprire progressivamente tutti i retroscena che non troveranno posto nella narrazione principale.

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Hehe… nudi.

Nei primi istanti di gioco RESIDENT EVIL 7 ci fa quasi credere, inizialmente, che a muovere i fili dei nostri aguzzini sia qualcosa di sovrannaturale, un’entità demoniaca come in P.T., il che andrebbe decisamente a cozzare con tutto ciò che BIOHAZARD ha rappresentato fino a questo momento. Andando avanti, ambientandoci all’interno del micromondo di casa Baker e abituando i nostri occhi al buio più totale, la nostra inquietudine lascerà via via posto alla consapevolezza che in realtà ciò che stiamo vivendo sulla nostra pelle non è poi così diverso da quanto accaduto agli abitanti di Raccoon City molti anni prima. Se i primi jump-scare sono riusciti a farmi sussultare e invocare il nome di svariate divinità pagane, dopo non troppe ore di gioco sono riuscito un po’ ad anticipare e ad aspettarmi l’inevitabile, in un certo senso riuscivo a capire che di lì a poco quell’icona di autosalvataggio avrebbe lasciato il posto a un imprevisto che avrebbe dovuto cogliermi di sorpresa e costringermi a cambiare le mutande.

Ho come avuto l’impressione che RESIDENT EVIL 7: biohazard abbia voluto spaventarci principalmente nelle fasi iniziali, lasciandoci indifesi alla mercé di un gruppo di pazzi squinternati apparentemente immortali, per poi cedere il posto a sezioni volte più all’esplorazione, al backtracking, alla risoluzione di enigmi (pochi, non troppo difficili e talvolta ripresi pari pari dal capostipite della saga) e, naturalmente, ai combattimenti contro le orride creature che ritroveremo ad attenderci dietro l’angolo. Nonostante la mancanza degli iconici zombie (e ormai dovremmo esserci abituati) la nostra pazienza verrà messa a dura prova dalla recidiva e persistente voglia di ucciderci degli abitanti della casa, ma anche dalle solite mutazioni e creature dall’aspetto non meglio identificato tipiche del franchise, da cui potremo difenderci brandendo coltelli da sopravvivenza, semplici pistole, devastanti fucili a pompa e ulteriori strumenti dalla potenza distruttiva che ci salveranno la pellaccia in numerose occasioni. Chiaramente, in difficoltà Normale, la presenza più o meno abbondante di munizioni e oggetti curativi in punti strategici rovina un po’ il senso di sopravvivenza, ma vi assicuro che il più delle volte sarete estremamente felici di trovare un’altra scatola di proiettili e un’erba medica dopo essere fuggiti dall’ennesimo combattimento. Pensate un po’, in modalità Manicomio, quella di difficoltà maggiore, avremo pure i salvataggi contati, come i bei tempi d’oro.

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Scene di vita quotidiana a casa di studenti fuori sede.

Il settimo RESIDENT EVIL è quello dal taglio più cinematografico, vuoi per l’estremo realismo con il quale vengono rappresentate le ambientazioni e i personaggi chiave, vuoi per la perfetta integrazione delle cutscene all’interno del gameplay, vuoi per gli spettacolari e memorabili scontri con i boss, probabilmente tra le cose che più ho amato all’interno del gioco. Persino le videocassette (quasi tutte facoltative) che potremo trovare all’interno della magione diverranno un tutt’uno con la storia principale: pur mettendoci nei panni di personaggi a volte estranei al protagonista, risulteranno spesso più spaventose dell’avventura in sé, principalmente per l’assenza di armi con cui difendersi, ma anche per quella consapevolezza che il povero malcapitato finirà per essere catturato, torturato o addirittura ucciso. Esperienze che ci auguriamo di non dover ripetere nei nostri sogni la notte successiva… come forse è già accaduto a me, qualche nottata addietro.

Peccato non poter dire lo stesso delle fasi di gioco che anticipano le porzioni finali che,  nei panni del protagonista che all’interno dell’ultima e obbligatoria videocassetta, finiranno irrimediabilmente per annoiarci e farci sperare di arrivare presto alla conclusione del tutto; fortunatamente, dopo questo lungo supplizio costellato di momenti poco ispirati, verremo ricompensati da un susseguirsi di scontri e colpi di scena che ci lasceranno decisamente appagati con l’arrivo dei titoli di coda.

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“SIMON! STRINGI I DENTI!”

Cosa dire se non che, nonostante i nei, mi reputo decisamente soddisfatto di RESIDENT EVIL 7? Nonostante, dopo averlo giocato, ho avuto come l’impressione di aver vissuto uno spin-off, vicende collaterali a quelle che han sempre visto per protagonisti gente come Chris e Jill o antagonisti come Wesker, mi sono reso conto di come abbia lasciato un segno indelebile dentro di me: con uno qualsiasi dei due finali ci capiterà di concludere la nostra esperienza, state certi che porteremo sempre nel cuore un titolo che di certo non ha infangato il nome che porta, come probabilmente avrete pensato del quinto o del sesto capitolo. Sarebbe stato altrettanto apprezzato dal pubblico se non fosse stato un RESIDENT EVIL? Non ci è dato saperlo: l’unica cosa certa è che finalmente CAPCOM ha reso giustizia a una delle sue serie più amate, pur avendola rivoluzionata in maniera radicale e probabilmente tagliando una volta per tutte i ponti col passato.

Compatibile con la realtà virtuale unicamente nella sua versione PlayStation 4, RESIDENT EVIL 7: biohazard è disponibile anche su Xbox One e PC; ho avuto modo di provarne solo i primi istanti di gioco indossando un PlayStation VR e ho completato l’avventura in modalità “normale”, pad alla mano, in circa undici ore. Tuttavia, con una certa esperienza col genere e non collezionando tutti gli extra, è possibile quasi dimezzare la durata del gioco base, che potrà essere incrementata con l’uscita dei DLC a pagamento (come il Banned Footage Vol. 1 e 2 già disponibili) e gratuiti (Not a Hero, in arrivo in primavera). Siete pronti a scoprire quali oscuri misteri nasconde Villa Baker?

Ti amo tanto anch'io.
Ti amo tanto anch’io.