Thronebreaker: the Witcher Tales , titolo che rappresenta l’attesa campagna single player di Gwent diventata col tempo un vero e proprio gioco a sé, è finalmente arrivato su PC, con appena un anno di ritardo. Nonostante venisse presentato come un capitolo indipendente e proposto ad un costo non indifferente (circa 30 euro su Good Old Games), si temeva ugualmente che fosse poco più di un tutorial glorificato per il card game di Cd Projekt Red. La realtà, come possiamo oramai toccare con mano, è ben diversa: Thronebreaker è a tutti gli effetti un degno spin-off della saga di The Witcher, e la qualità del prodotto, specialmente nella narrazione, è quella con cui Cdpr ci ha viziato da quanto uscì il primo titolo nel 2007.

Come già noto, Thronebreaker presenta una componente ruolistica e di esplorazione e un sistema di combattimento essenzialmente preso di peso da Gwent, il minigioco già presente in Wild Hunt in fase embrionale, ovvero un gioco di carte con meccaniche  sicuramente uniche nel loro genere.  Il filo che unisce questi due aspetti è l’ottima narrativa del titolo, caratterizzata dal fatto che le decisioni prese abbiano ripercussioni sia sul mondo che sulle carte a nostra disposizione. Nel gioco impersoniamo Meve, regina di Lyria e Rivia, abile politica e feroce combattente alle prese con nemici interni ed esterni al suo regno, e circondata da sottoposti la cui lealtà è tutto fuorché indiscussa. Il viaggio della nostra protagonista comincia con un tutorial che introduce l’esplorazione, la raccolta delle diverse risorse e il loro utilizzo per potenziare il nostro esercito, l’interazione con gli NPC che incontriamo e ovviamente i combattimenti.

Le nostre forze sulla mappa sono rappresentate semplicemente  da un modello 3D della regina, come già visto in Heroes of Might and Magic o altri giochi strategici isometrici, che può spostarsi liberamente interagendo con i vari personaggi e punti di interesse che troviamo, e quando si incontrano nemici sul campo avviene una transizione alla board di Gwent. Nei momenti di tregua possiamo visitare il nostro accampamento, punto focale per l’organizzazione di un esercito, e lì investire oro, legname e uomini raccolti lungo la strada per migliorare il nostro arsenale, che sia potenziando i soldati già a nostra disposizione, reclutandone di nuovi, o costruendo edifici che migliorano la nostra efficienza in battaglia. Qui è anche dove Meve può conversare con i compagni reclutati, consultare i progressi fatti sulla mappa corrente e personalizzare il mazzo che usiamo in combattimento, che deve peraltro contenere minimo 25 carte e non può superare un costo in vettovaglie determinato dalla difficoltà del gioco e incrementabile con alcuni potenziamenti.

I combattimenti vengono affrontati con il sistema di Gwent: si pescano dieci carte all’inizio del primo round e tre nei successivi, e se ne gioca una per turno posizionandola su una di due file. L’obiettivo è ottenere più punti dell’avversario in due round su tre, sfruttando il determinato valore e le particolari abilità delle carte, ma anche l’aiuto di Meve, che può intervenire durante lo scontro, come ne ha facoltà anche il leader dei nostri nemici. Se un round ci sembra oramai perduto è possibile passare, per evitare di sprecare preziose risorse, tentando di rifarsi in quello successivo. Nel corso del gioco incontriamo nemici molto diversi tra loro e ciò ci obbliga a rivedere le nostre tattiche, seppur ben consolidate: combattere contro un esercito regolare è molto diverso dall’affrontare un troll di montagna. Inoltre alcuni scontri propongono regole o obiettivi speciali, come ad esempio dover distruggere un castello durante un assedio o bloccare la fuga di alcuni banditi che hanno con sé degli ostaggi, costringendoci ad adattare la nostra strategia alla situazione. In caso di sconfitta è comunque sempre possibile ritornare al checkpoint precedente e riorganizzare il proprio mazzo, preparandosi così adeguatamente al pericolo. La parte più riuscita è senz’altro quella dei puzzle: rompicapo divertenti anche nelle loro istanze più semplici, che possono richiedere notevole sforzo in alcuni casi, spesso chiedendoci di sfruttare unità e meccaniche che altrimenti non avremmo preso in considerazione. Gli scontri standard potrebbero stufare presto, specie se non si sperimenta con il deck building, ma questa semplice aggiunta rende molto più godibile l’esperienza di gioco.

Non è una sorpresa che la maggioranza dei giocatori cerchi nei prodotti di Cd Projekt una storia ben scritta, con dialoghi interessanti e personaggi unici che lascino il segno. Thronebreaker non delude sotto questo aspetto: la trama è avvincente, i dialoghi sono eccellenti e i protagonisti sono incredibilmente caratterizzati. Meve in primis, è una figura di spicco di altissimo livello, e i suoi alleati (e nemici) non sono da meno. Come sempre accade nel mondo di The Witcher, vengono affrontati temi delicati, come guerra, razzismo e xenofobia, mai in modo banale e senza l’introduzione di personaggi che incarnino il male assoluto: uomini, donne, nani e elfi agiscono in modo coerente alla situazione e al proprio interesse, senza stereotipi.  Grande ritorno anche per il sistema di decisioni e conseguenze, che in questo caso vengono prese da un regnante e quindi plasmano in modo radicale l’intero mondo di gioco e non solo l’esperienza personale, tanto che gli sviluppatori hanno promesso venti e più finali in base alle nostre scelte. Le nostre azioni possono farci ottenere il supporto di alleati o inimicarcene altri, cambiando perciò le carte a nostra disposizione e indirettamente l’outcome di diverse missioni principali e secondarie. Per di più, esistono ripercussioni sul morale dell’esercito, che influenzano di un punto il valore delle carte in positivo e negativo, piuttosto rilevante se si gioca a difficoltà elevata, ma comunque aggirabile.

Passiamo alla veste grafica: la presentazione del gioco è sorprendente, dopo i vertici raggiunti con Wild Hunt gli sviluppatori hanno deciso di cimentarsi con una semplice visuale isometrica e delle texture quasi cartoonesche, conservando però i toni e i colori che caratterizzano questo mondo e mantenendo quindi lo stile che ha reso iconico The Witcher. Il risultato è esteticamente gradevole con ambientazioni davvero magnifiche e fantastici artwork delle carte, in gran parte originali e mai viste finora. . Ottimo anche l’uso delle luci ambientali e l’alternanza giorno notte a cui possiamo assistere su diverse mappe. Durante i dialoghi i modelli dei personaggi hanno un aspetto fumettistico già usato in precedenza dallo studio, anche questo molto riuscito, e con unica pecca l’animazione della bocca, che appare poco realistica e con labiale non del tutto in sincrono in alcune scene. L’uso di una palette di colori costante per gli oggetti con cui è possibile interagire è di grande aiuto per chi non ha voglia di consultare costantemente la mappa alla ricerca di collezionabili o risorse. Se l’aspetto del gioco è degno di nota il comparto audio non è certo da meno, e nessuno si aspettava nulla di diverso: la qualità del doppiaggio è stellare, e le musiche continuano ad essere anni luce avanti a quanto abbia da offrire la concorrenza in questo campo.  Vale la pena menzionare che nonostante testi e sottotitoli siano disponibili italiano, le voci sono solo in inglese. Alcuni potranno risentirsi, legittimamente, di questa scelta, ma vista la mole di testo presente nel gioco difficilmente sarebbe stato possibile recuperare l’investimento necessario per una localizzazione completa.

In conclusione si tratta di un gioco curato in ogni dettaglio e caldamente consigliato a tutti i fan della saga di The Witcher, che probabilmente lo avranno già comprato e divorato, ma anche a chi apprezza i card game o semplicemente un titolo con una storia davvero ben scritta. Degne di nota, infine, le 23 carte, in versione standard e premium, ottenibili per il gioco online di Gwent, le prime automaticamente e le seconde tramite bauli nascosti per il mondo di gioco. Un regalo molto apprezzato.